IL RIGORE PIÙ LUNGO DEL MONDO Reading dal racconto di O.Soriano

Un giorno qualsiasi, passando uno a uno i volumi nella mia modesta libreria, mi sono accordo che una categoria particolare spiccava su altre indiscusse: categoria “calcio”. Nella vita ho accumulato, senza volerlo probabilmente, oppure grazie a mia madre, una ventina di libri sul calcio o che di calcio parlavano. Guardandoli mi sono accorto che fra loro c’erano anche scrittori importanti, come Javier Marìas per esempio, e mi sono chiesto se non si trattasse di una categoria sottovalutata. Probabilmente lo è.

Infatti, per quanto mi riguarda, il calcio non è solo calcio. Il calcio è vita. Raccontando di calcio si racconta della vita, e fra l’ha fatto meglio, c’è stato sicuramente Osvaldo Soriano con un libro (e molti altri scritti), nella versione italiana intitolato “Fùtbol” (edito da Einaudi). In questa raccolta di racconti sul calcio ne spicca uno su tutti, che già nel titolo ripone gran parte di un immaginario che appartiene a tutti quelli che nel calcio vedono molto più di 22 sciocchi esseri umani che rincorrono un pallone. “Il rigore più lungo del mondo”, ho voluto leggerlo dunque alcune volte in pubblico, sempre accompagnato dal mio fedele compagno di viaggi immaginari latinoamericani, Miguel Angel Acosta da Cordoba, Argentina e da Torino, Italia.

Qui di seguito l’incipit del racconto di Soriano, e in questa parte del sito, alcune notizie dai reading letterari musicali in cui l’ho portato al pubblico della nostra regione.

Incipit da “Il rigore più lungo del mondo”, di Osvaldo Soriano

Il rigore più fantastico di cui io abbia notizia è stato tirato nel 1958 in un posto sperduto di Valle de Rìo Negro, una domenica pomeriggio in uno stadio vuoto. Estrella Polar era un circolo con i biliardi e i tavolini per il gioco delle carte, un ritrovo da ubriachi lungo una strada di terra che finiva sulla sponda del fiume. Aveva una squadra di calcio che partecipava al campionato di Valle perché di domenica non c’era altro da fare e il vento portava con sé la sabbia delle dune e il polline delle fattorie. I giocatori erano sempre gli stessi, o i fratelli degli stessi. Quando avevo quindici anni, loro ne avevano trenta e a me sembravano vecchissimi. Dìaz, il portiere, ne aveva quasi quaranta e i capelli bianchi che gli ricadevano sulla fronte da indio arcuano…